Bolzano, Göttingen
Mentre ad Afrin nella Siria del Nord si chiude il secondo anno dalla guerra di aggressione turca, il presidente della Turchia Recep Erdogan è in procinto di recarsi a Berlino per discutere della pace in Libia. Nel frattempo la regione del Nord della Siria, una volta governata dai Kurdi, subisce ancora la cosiddetta pulizia etnica avviata dalla Turchia. Se prima della guerra scatenata dalla Turchia, il Nord della Siria era abitato da una popolazione multietnica e multireligiosa, ora la maggior parte della popolazione kurda ha dovuto scappare o è stata cacciata dalla regione. Delle circa 1.000 persone di fede cristiana che prima dell’attacco del 2018 vivevano ad Afrin oggi non è più rimasto nessuno. Anche circa 300.000 Kurdi sunniti sono stati costretti a lasciare la casa proprio per rifugiarsi nei campi profughi a nord di Aleppo dove vivono perlopiù in tende.
La popolazione kurda di fede islamico-sunnita è storicamente conosciuta per la sua apertura ma grazie al sostegno della Turchia la regione siriana è oggi controllata da milizie che impongono un Islam radicale estremista e diffondono l’odio per la democrazia e i valori occidentali. Il referente per il Medio Oriente dell’Associazione per i Popoli Minacciati (APM) denuncia la campagna di turchizzazione e islamizzazione senza precedenti di cui la popolazione di Afrin è vittima. L’identità e cultura kurda sono sistematicamente distrutte e cancellate mentre l’Europa resta in silenzio a guardare i crimini commessi con il sostegno della Turchia, suo partner nella NATO.
Solamente due anni fa ad Afrin vivevano tra i 20.000 e i 30.000 credenti yezidi, oggi gli Yezidi di Afrin sono appena 1.300. I loro cimiteri, luoghi sacri e le sedi delle loro associazioni sono stati saccheggiati e distrutti ed è stato loro proibito festeggiare pubblicamente le loro ricorrenze religiose. I rapimenti e le richieste di riscatto si moltiplicano e molte donne kurde sono state obbligate a matrimoni con Sunniti radicali. E’ diventato quasi impossibile vedere ancora una donna a capo scoperto per le strade mentre sono state arrestate 5.576 persone di cui 2.350 sono letteralmente scomparse. Si teme che molte di esse non siano più in vita. Almeno 68 persone sono morte negli scorsi due anni mentre erano in carcere, probabilmente a causa dei maltrattamenti e delle torture subíte.
Nel frattempo l’esercito turco e i suoi alleati continuano a commettere crimini contro la popolazione civile. In seguito alla seconda invasione turca dal nome evocativo “Operazione Sorgente di Pace” avviata il 9 ottobre 2019 almeno 1.776 civili sono stati uccisi, altri 3.909 sono stati feriti e si stima che circa 6.000 persone siano state fatte prigioniere dall’esercito turco e dalle milizie alleate. Secondo i dati forniti dall’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, le milizie islamiche alleate della Turchia contano tra le sue file molti ex-combattenti del cosiddetto Stato Islamico (IS). Molti dei crimini commessi dall’esercito turco sono da considerarsi come crimini di guerra e crimini contro l’umanità ma è improbabile che i responsabili vengano giudicati per i crimini commessi, almeno finché la NATO continuerà a coprire Erdogan.